Un vino frizzante è un vino che contiene una certa percentuale di anidride carbonica e quindi una certa dose di “bollicine”. Gran parte di questi vini viene prodotta da aziende agricole che operano con metodi precisi per ottenere la giusta “frizzantezza”.
Metodo principe per la produzione di vini frizzanti è il Martinotti, già proprio della produzione degli spumanti, seppure con determinanti differenze.
Ed è qui che molti si chiedono: qual è la differenza tra un vino frizzante e un vino spumante?
C’è una precisa legislazione vigente in tutta Europa che stabilisce qual è la principale differenza tra spumanti e vini frizzanti.
Un vino frizzante è un vino spumeggiante con una pressione massima di 2,5 atmosfere, mentre gli spumanti devono avere una pressione di minimo 3 atmosfere. La normativa di riferimento in Italia è il Decreto del Ministero delle Politiche Ambientali e Forestali del 29 luglio 2004 che fa riferimento a tutte le disposizioni precedenti sia del governo italiano che della Comunità Europea.
Questa normativa stabilisce anche altre prerogative imprescindibili per la produzione del vino frizzante perfetto.
Per avere la spumantizzazione deve essere prodotto a partire unicamente da mosto d’uva, mosto d’uva parzialmente fermentato, mosto concentrato, mosto concentrato rettificato, utilizzati sia singolarmente che miscelati fra di loro. Nel caso della presa di spuma, infatti, l’aggiunta di mosto concentrato non funge né da dolcificazione né da arricchimento, ma determina l’aumento di gradazione alcolica del prodotto finale, che non deve superare lo 0’9% vol.
Ci sono sostanzialmente due tipi di vino frizzante:
I vini frizzanti naturali, prodotti con il classico metodo Champenoise o con il metodo Charmat, gli stessi che vengono usati per la produzione degli spumanti ma con rifermentazioni più brevi e a pressioni inferiori.
I vini frizzanti artificiali, prodotti con l’ausilio di pompe che creano il vuoto per poi insufflare l’anidride carbonica in contenitori di acciaio dove vengono conservati i vini.
Si sceglie di usare un metodo piuttosto che un altro a seconda delle varietà di uve utilizzate per il vino base; non tutte le uve sono adatte alla rifermentazione del prodotto, e non tutte assicurano una spumantizzazione ottimale del vino.
La scelta delle uve per il vino base è fondamentale nel caso si voglia ottenere un vino frizzante a fermentazione naturale in bottiglia. Le uve andranno dunque raccolte esclusivamente con una settimana di anticipo rispetto alle tempistiche di raccolta delle uve per vini fermi. Questo consente di ottenere una gradazione alcolica finale tra i 9° e i 12°, ideale per la produzione di vini frizzanti secchi. Un fattore importante è anche l’acidità totale, che dovrà essere più alta di 6 grammi per litro, in modo da ottenere risultati migliori. Una volta ottenuto il vino base si passa alla produzione del vino frizzante seguendo uno dei vari metodi prima accennati.
In questo contesto, si usano mosti di uve aromatiche come il Moscato, il Prosecco e per i rossi il conosciuto Brachetto, ma l’uva principe del vino frizzante rosso è sicuramente il Lambrusco.
I vitigni aromatici sono più adatti a questo metodo, poiché è prevista una lunga sosta dei lieviti nei contenitori per la fermentazione che nuocerebbe ad aromi più delicati.
I lieviti utilizzati sono principalmente di due tipi: Saccharomyces Cerevisiae e Saccharomyces Bayanus. Questi sono i lieviti grazie ai quali, fin dalla notte dei tempi, abbiamo dato vita a qualunque prodotto fermentato. Naturalmente presenti in natura, sono responsabili del processo di trasformazione degli zuccheri in alcol.
Ovviamente adesso non ci si aspetta più che i lieviti agiscano spontaneamente; per quanto riguarda la grande produzione, vengono più che altro aggiunti nelle quantità ideali e perfezionati in laboratorio per abbattere il rischio di effetti indesiderati.
Soffermiamo adesso la nostra attenzione sulle bottiglie. Le bottiglie dei vini frizzanti e degli spumanti sono generalmente più pesanti e realizzate in vetro più spesso, con una chiusura ben differente da quella di altre bottiglie. Questo serve a non disperdere l’anidride carbonica faticosamente realizzata in autoclave e per permettere al contenitore di sopportare la pressione e non rischiare le esplosioni.
Anche il fondo è diverso: non presenta alcun tipo di spigolo vivo, come in altri bottiglie, perché sarebbero le parti del vetro più a rischio rottura.
Il tappo più utilizzato è invece quello a fungo di sughero, che resiste di più alla pressione ed è spesso ancorato al collo della bottiglia con apposita gabbietta.